Wonder Woman 1984 | la recensione
Il seguito del film del 2017, ci trasporta negli ipercolorati anni ‘80 in cui l’avere veniva prima dell’essere. La sfida tra Gal Gadot e Kristen Wiig, sorta dall’invidia, sfocia in una follia che mira a una probabile catastrofe globale iniziata dall’altro villain interpretato da Pedro Pascal. Con esiti altalenanti.
Washington, 1984. Nel sequestro di una serie di oggetti antichi destinati al mercato nero finisce una pietra misteriosa che può realizzare il desiderio di chi la tocca. Mentre Diana Prince, che lavora per la Smithsonian Institution, indaga segretamente sulla sua provenienza, l’uomo d’affari Max Lord ne prende possesso assumendone lui stesso il potere, dopo aver sedotto la nuova collega di Diana, Barbara che la teneva in custodia. Poco prima, Diana aveva desiderato riavere con sé il suo grande amore Steve che torna in vita entrando nel corpo di un altro uomo, mentre Barbara aveva espresso quello di diventare forte e determinata come Diana non sapendo di ereditare così i poteri di Wonder Woman. La smania di potere di Max è talmente grande che arriva a spostare gli equilibri geopolitici mondiali con conseguenze disastrose.
Dopo il primo capitolo del 2017, Wonder Woman, diretto sempre da Patty Jenkins arriva, tra mille traversie distributive a causa della pandemia, questo sequel che inizia con Diana bambina a Themyscira mentre si misura in una gara con le altre amazzoni adulte sfiorando la vittoria. Se il primo film era ambientato nel 1918 durante la Prima Guerra Mondiale, qui ci si sposta magicamente in piena Guerra Fredda ma con lo spirito ipercolorato degli anni 80 in cui si colloca perfettamente un inizio cinetico in cui l’eroina sventa una rapina con annesso rapimento di bambina. Tutto troppo facile forse ma decisamente funzionale. E per un po’ ci sembra di essere dalle parti di Stranger Things (ma anche da quelle di Spielberg e Zemeckis), un tuffo in un passato da dimenticare per i suoi eccessi ma anche per questo indimenticabile, soprattutto se visto con gli occhi di adolescenti pieni di speranza. Poi il cattivo di turno prende il sopravvento e con lui tutta la storia passa a declinare l’edonismo reaganiano in cui l’avere veniva prima dell’essere, attraverso gli atti di un imprenditore mediocre, arrabbiato col mondo (senza mai dimenticare di strizzargli l’occhio) che assomiglia terribilmente a Donald Trump, soprattutto dopo la sconfitta di quest’ultimo alle recenti elezioni.
“Attento a ciò che desideri perché potresti ottenerlo” o come nella versione originaria attribuita a Oscar Wilde “Ci sono due grandi tragedie nella vita. La prima è desiderare ciò che non si può avere. La seconda è ottenerla.” è il secondo messaggio centrale nel film. Il primo è “La verità è ciò che conta.” Che cosa comporta desiderare qualcosa? Che per ottenerlo bisogna rinunciare a qualcos’altro. Ma se questo è la cosa più preziosa che si ha, tutto può diventare vano sfociando addirittura nell’orribile. L’unica guida che WW84 suggerisce per vincere davvero è restare sul sentiero della verità resistendo alla tentazione di un potere illusorio. E lo fa attraverso le azioni degli interpreti principali.
Voi avete sempre avuto tutto. E quelli come me invece, niente!
Gal Gadot fa apparire spesso Diana priva della necessaria elasticità e modernità, quella degli anni ‘80, diventando una sorta di Superman ma più rigida e spocchiosa e per questo incapace di portare dalla sua parte un’altra donna che da subito la prende come esempio, diventando in parte complice della sua trasformazione in villain. Barbara pende dalle labbra di Diana, vorrebbe avere la sua sicurezza e la sua forza e quando si accorge che senza sforzi il suo desiderio prende forma non è in grado di contenere i nuovi poteri né di gestirli e da possibile superdonna diventa e avida e al contempo schiava di ciò in cui si trasforma. Kristen Wiig passa dalle moine alla crudeltà plasmando il personaggio per gradi, facendogli compiere evoluzioni emotive degne di una persona affetta da schizofrenia. Ma il confronto tra le due donne non raggiunge il giusto potenziale. Le due facce della stessa medaglia sono nettamente separate piuttosto che parte dell’una e dell’altra. Da un lato c’è la perfetta Diana (che perfetta non è affatto, per fortuna, ma appare sempre come se fosse tale) e dall’altro una sempre peggiore Barbara che sembra fare da bidone dell’immondizia di tutti i difetti possibili, quando avrebbe potuto rappresentare, per esempio, un vaso di Pandora.
Sono qui per cambiarvi la vita, qualunque cosa vogliate. Potete realizzare i vostri sogni più sfrenati!
La tensione tra le due è anche viziata dall’altro cattivo, Max. Che un vero e proprio cattivo non è. Pedro Pascal racconta un uomo debole, con un’infanzia difficile a causa di un padre violento, che invece di riscattarsi col proprio figlio, diventa un mostro alla perenne ricerca del successo ad ogni costo. Sebbene nel finale qualcosa cambi, il messaggio che passa è molto negativo, sia nella figura di Max che in quella di Barbara: due perdenti che invece che ottenere giustizia dalla vita diventano ciò contro cui hanno combattuto, ma senza lo spessore necessario ad assurgere a un ruolo di primo piano. Chris Pine è la vera parte buona della storia. Il suo Steve ottiene due miracoli: non solo risorge ma viene trasportato in avanti nel tempo di decenni e la sua meraviglia nel trovare un mondo tanto migliorato tecnologicamente quanto privo di valori lo fa muovere come un bambino in un Luna Park che proprio grazie a quella purezza è capace di compiere qualsiasi sacrificio pur di salvare il mondo dalla catastrofe.
Patty Jenkins, sebbene con molti difetti nello svolgimento, imbastisce la storia in modo abbastanza efficace. La sua regia rimanda costantemente le spiegazioni di ciò che accade a momenti successivi dando così un tocco di originalità e imprevedibilità al racconto, rendendo l’intreccio più fluido e intrigante. Ciò che rende debole il film è una certa mancanza di ritmo e di corretta interazione tra accadimenti e personaggi proprio quando le cose dovrebbero muoversi come nei migliori cinecomic, con la leggerezza del fantasy contaminata da una drammaticità più forte e realistica.
Intanto sarebbe in preparazione un terzo e conclusivo film che dovrebbe essere ambientato ai giorni nostri e che potrebbe vedere la luce non prima del 2024. La regista ha dichiarato di aver messo in pausa il progetto negli ultimi mesi perché intende includere nella storia anche la pandemia da Coronavirus. E oltre a curare la trilogia, si sta pensando a uno spin-off che racconterà la storia delle Amazzoni di Themyscira in cui la Jenkins dovrebbe apparire in veste di produttrice.
Ps: da non perdere durante i titoli di coda una breve sequenza che riporta ulteriormente indietro nel tempo, un cameo (We Love LC) che potrebbe fare da congiunzione col prossimo capitolo.
VALUTAZIONI
Regia 6 Sceneggiatura 6 Recitazione 6
Fotografia 7 Musiche 7
Film 6,5
Wonder Woman 1984
azione, fantastico, avventura, fantascienza | USA | 2020 | 151 min
regia Patty Jenkins sceneggiatura Patty Jenkins, Geoff Johns e David Callaham fotografia Matthew Jensen musiche Hans Zimmer
personaggi interpreti
Diana Prince / Wonder Woman Gal Gadot
Barbara Ann Minerva / Cheetah Kristen Wiig
Maxwell Lorenzano “Max Lord” Pedro Pascal
Steve Trevor Chris Pine
Regina Ippolita Connie Nielsen
Generale Antiope Robin Wright
Carol Natasha Rothwell
Babajide Ravi Patel
Raquel Gabriella Wilde
emiro Said Bin Abydos Amr Waked
uomo abitato da Steve Kristoffer Polaha
Asteria Lynda Carter
critica IMDB 5,4 /10 | Cinematografo 3 /5 | Rotten Tomatoes 6,5 /10 | Metacritic 60 /100
incassi in sala $ 157 MLN (budget 200 MLN)
camera Arriflex 235, Panavision Primo Lenses - Arriflex 435, Panavision Primo Lenses - IMAX MSM 9802, Hasselblad Lenses (alcune scene) - Panavision Panaflex Millennium XL2, Panavision Primo Lenses - Panavision Panaflex System 65 Studio, Panavision Sphero 65 Lenses
formato D-Cinema
aspect ratio 2,39 : 1
formato audio Dolby Atmos
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Commenti (2)
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Visto ieri sera, il problema direi comune a molti di questi cinecomic, è l'eccessivo appiattimento di storia e personaggi. Tutto scorre a una frequenza media (un po' soporifera) senza alti e bassi, i supereroi appaiono senza una reale umanità, non si instaura quell'empatia che rende gli spettatori partecipi. Tra l'altro queste sensazioni vengono amplificate dalla durata del film (150 minuti).
Ma, come detto, ciò è comune a diversi di questi cinecomic in cui, probabilmente per non voler scontentare nessuno, si cade in questo appiattimento generale. Ciò che invece mi ha davvero sorpreso è la pochezza degli effetti visivi. Il modo in cui wonder woman corre, vola o si lancia con il suo lazo della verità è davvero pietoso. -
Credo sia il peggior film di supereroi di sempre.
Un concentrato di sessismo misto a razzismo misto a banalità di una pochezza esemplare, 2 ore e 31 minuti di maccosa dove sono riusciti pure a infilare a forza, fuori contesto e quindi depotenziandola, la battuta più famosa di Una donna in carriera, ma ovviamente sessualmente ribaltata.
La protagonista non ha il minimo carisma, vaga sullo schermo senza spiccare sugli altri attori, i cattivi, che sono cattivi perché maschi bianchi e/o plasmati da essi, sono macchiette patetiche che fanno cose spinti da desideri imbarazzanti; gli unici maschi buoni sono il fidanzato ritornato ma con la mente di un 8enne (perché alla donna del 2021 piace il maschio bambino, vero Patty), il mendicante perché è nero e il figlio del cattivo perché è asiatico.
Questo dovrebbe essere un film che parla di emancipazione femminile, di girl power??? Veramente???
Era il 1979 (42 anni fa) quando una tostissima Ellen Ripley incarnava il mito del supereroe tutto femminile ed era il 1986 quando il soldato Vasquez rispondeva No e a te? al soldato Hudson che le chiedeva: Ehi Vasquez, ti hanno mai scambiato per un uomo?, altri film, altri tempi, altra stoffa.