The Serpent | la recensione
La storia vera dell’imprendibile truffatore che tra gli anni ’60 e i ’70 uccise e derubò almeno 12 persone in Asia meridionale diventa una serie che grazie a un montaggio strepitoso ricostruisce con cura i tanti episodi della vita del protagonista osteggiato da un giovane e appassionato diplomatico
Tra il 1963 e il 1976 Charles Sobhraj preda numerosi turisti occidentali in varie località dell’Asia meridionale. Dapprima fingendosi loro amico, li droga e li avvelena fino a renderli inermi e sottrarre loro ogni avere. Con l’aiuto del fedele Ajay e della compagna Marie-Andrée si muove indisturbato a Bangkok, una delle mete del cosiddetto Hippie Trail, il sentiero caro ai giovani della controcultura beat, sottraendo loro i passaporti e assumendo così nuove identità per girare il mondo e concludere vendite di pietre preziose rubate. Ma mentre i suoi crimini raggiungono l’apice, Herman Knippenberg, un funzionario dell’ambasciata olandese, si mette sulle sue tracce insospettito dall’atroce morte di una coppia di suoi connazionali. Inizia così una sfida a distanza in cui burocrazia e polizia dovranno unirsi al diplomatico per fermare la scia di delitti del Serpente.
Ispirata alla vera storia dell’uomo soprannominato The Serpent per il sangue freddo, ma anche The Bikini Killer per l’abbigliamento di alcune delle sue vittime o The Splitting Killer per le sue brillanti doti nell’evadere, la miniserie si concentra principalmente nel suo ultimo anno di attività criminale in Thailandia. Saltando continuamente nel tempo grazie a un montaggio strepitoso, i vari tasselli del passato di Sobhraj vengono messi in ordine come su una scacchiera, teatro delle sue mistificazioni non solo a danno delle sue vittime ma anche di chi gli è più vicino. Charles è il Re nero, gli altri sono per lui meno che pedoni, utili solo al suo passaggio da una casella all’altra.
La ricostruzione avviene tramite una linea che parte dalla metà del 1975, spezzata continuamente da flashback più o meno lunghi che ripercorrono la vita dell’uomo, per far comprendere le sue motivazioni più profonde e terribili. Sobhraj è un uomo spietato verso chi, a differenza sua, vive un’esistenza agiata e per questo libera. Nella sua intima convinzione c’è l’oscurità di chi è stato trattato come diverso fin da piccolo, trascurato persino in ambito familiare. Ogni gesto a cui ricorre è per lui più che legittimo per perseguire i suoi scopi, nei suoi occhi non c’è mai traccia della minima pietà o comprensione. Il suo fascino passa proprio dal magnetismo di chi sembra non abbia mai niente da perdere, insensibile e quindi apparentemente indistruttibile.
Marie-Andrée viene subito colpita dai suoi modi eleganti e non esita neanche di fronte al necessario cambio d’identità. Anzi, vede la cosa come l’opportunità per essere altro da sé. E quando capisce che stargli vicino è solo una discesa all’inferno è ormai troppo tardi. Anche Ajay subisce l’ascendente di Charles che gli promette una vita di ricchezza e potere. Arriva a competere con la donna pur di restare l’unico punto di riferimento per il suo capo. Oltre chiaramente ad eseguire ogni suo ordine, diventando da semplice factotum a cupo assassino.
Dall’altra parte c’è Herman, che di fronte all’immobilismo delle forze dell’ordine locali si mette alla ricerca di indizi che incastrino l’uomo che si fa chiamare Alain Gautier. Come l’ambasciatore, suo superiore, gli ricorda più volte, indagare non è suo compito. Ma lo spirito appassionato e la rabbia incessante del giovane superano ogni regola. Aiutato dalla moglie Angela e dal maturo Paul, mette a repentaglio la propria carriera alla ricerca di una verità talmente abominevole da fargli coinvolgere nell’impresa anche una coppia che rischierà a sua volta la propria vita. Ma Charles è un osso più duro del previsto, un Rocambole del crimine, imprendibile perché celato dietro diverse possibili identità, dietro le quali sembra non perdere mai la propria.
L’intreccio segue la costruzione e la decostruzione continua dei vari personaggi principali, in cui solo il protagonista riesce a trovare una ricostruzione completa attingendo dalle varie fonti sparse lungo il suo cammino le cui anime si sono corrotte gradualmente a suo favore. Esattamente come il cambio di pelle di un rettile. Il ritmo è sempre perfetto, anche nei momenti di stasi si avverte una tensione verso il successivo colpo di scena. La pulsione non viene mai placata, neanche quando le cose sembrano sancire la fine dei giochi. I tanti salti spazio temporali anziché creare confusione, allargano lo spettro di visione dello spettatore con puntualità, ammantando la storia dello stesso (malvagio) senso di seduzione che emana Sobhraj.
Libertà, pace e amore vengono violati da inganno, violenza e odio grazie a una fotografia cruda e sensuale, che mescola i must dell’epoca accostando immagini sporche ad altre sature e contrapponendo la sicurezza della luce del giorno e i suoi colori vivaci alla suspense del buio notturno in cui si consumano gli omicidi. Tutto in un turbinio di corpi e anime, comunque vinti, che cercano di raggiungere la propria meta. I ragazzi e le ragazze hippie che sognano un mondo migliore, Herman che contro ogni destino si batte per svelare la verità e Sobhraj che come un equilibrista cerca di imporre la propria volontà. Una serie potente che merita di essere vista per la cura con cui dispone i tanti personaggi in una storia talmente assurda da sembrare immaginata come i dialoghi che la compongono e i nomi di alcuni protagonisti cambiati per rispettarne la memoria.
Nota tecnica a cura di Emidio Frattaroli
La bella serie realizzata dagli inglesi di Mammoth Screen è distribuita in HDR ma non mi ha convinto al 100%, soprattutto per la qualità video. L'alternanza di tre direttori della fotografia è stata ben 'uniformata' dal colorist Perry Gibbs che ha fatto decisamente un buon lavoro. Non posso dire lo stesso per la direzione della fotografia, soprattutto per la precisione della messa a fuoco che lascia più volte a desiderare fino a diventare fastidiosa, soprattutto su un TV a risoluzione 4K. Probabilmente c'è tanta responsabilità anche per la scelta delle ottiche, quasi come a voler associare sfocature eccessive ad un certo periodo storico. L'altro problema riguarda la grana, fine ma sempre ben presente, tanto da mettere spesso in crisi la compressione che - lo ricordo - può contare su una banda che al massimo va poco oltre 15 Mbps a risoluzione 4K.
VALUTAZIONI
soglia d’attenzione
Scorrevolezza MEDIA Impegno MEDIO
visione
Intrattenimento 7 Senso 8,5 Qualità 8
dal trailer all’intera serie
Aspettativa 7,5 Potenziale 8,5
Risultato 8
The Serpent | miniserie
biografico, drammatico, thriller | UK | 2 apr 2021 | 8 ep / 57 min | Netflix
scritto da Richard Warlow, Toby Finlay diretto da Tom Shankland, Hans Herbots
personaggi interpreti
Charles Sobhraj Tahar Rahim
Marie-Andrée Leclerc Jenna Coleman
Herman Knippenberg Billy Howle
Angela Knippenberg Ellie Bamber
Ajay Chowdhury Amesh Edireweera
Paul Siemons Tim McInnerny
Nadine Gires Mathilde Warnier
Remi Gires Grégoire Isvarine
Dominique Renelleau Fabien Frankel
Juliette Voclain Stacy Martin
Suda Romyen Chicha Amatayakul
Ambasciatore van Dongen William Brand
Generale Janthisan Sahajak Boonthanakit
Teresa Knowlton Alice Englert
Vitali Hakim İlker Kaleli
critica IMDB 7,7 /10 | Rotten Tomatoes 6,4 /10 | Metacritic 59 /100
aspect ratio 2 : 1
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Commenti (1)
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Vista appena uscita in 2 giorni, a me e' piaciuta molto, fatta piu' che bene e anche la grana 'finta' che torna normale all'inizio di tante scene mi piace come effetto. Anche le auto , gli stili , tutto rapportato a quegli anni e' stato fatto molto bene.
Sempre avendo a mente che non era una serie super acclamata ecc...
Da vedere per chi piace il triller.