The Handmaid's Tale 4 | la recensione

Fabrizio Guerrieri 20 Luglio 2021 Cinema, Movie e Serie TV

Stagione 4 | Dopo tre stagioni di altissima qualità, la serie interpretata e prodotta da Elisabeth Moss continua a non deludere le elevate aspettative. E questa volta ogni idea di redenzione o perdono lascia il campo a un desiderio di vendetta talmente radicale da arrivare perfino dalle ancelle fin qui apparse meno forti e decise.


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Dopo essere rimasta ferita durante l’impresa di liberare 86 bambini facendoli volare a Toronto, June e le altre ancelle in fuga trovano riparo presso una fattoria che sostiene il progetto Mayday gestita da Esther, la giovane sposa dell’anziano Comandante Keyes che, mantenuto costantemente sedato, resta all’oscuro di tutto. Mentre a Gilead, zia Lydia rischia di non poter più svolgere il suo lavoro per non aver saputo evitare la fuga dei bambini e delle ancelle, in Canada si assiste a due scenari opposti. Da un lato Luke, Moira ed Emily accolgono l’arrivo dei piccoli assieme a quello di Rita che racconta di come June sia stata l’artefice della liberazione, e si adoperano per liberare Hannah, la piccola figlia di June e Luke. Dall’altro Serena e Fred Waterford arrestati e messi l’uno contro l’altra dovranno trovare un modo per arrivare a una tregua, in modo da poter affrontare più forti il processo cui stanno per essere sottoposti. Ma di lì a poco, un’amara sorpresa li attenderà stravolgendo tutti i loro piani.


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Basata su Il racconto dell'ancella, il romanzo del 1985 della canadese Margaret Atwood, The Handmaid's Tale ha visto la sua prima stagione televisiva nel 2017. Ideata da Bruce Miller, la serie si è distinta per qualità ottenendo diversi premi, assieme al riconoscimento unanime di pubblico e critica. Difficile mantenere un livello tanto alto nel corso degli anni. Eppure anche questa quarta stagione brilla in tutti i comparti. La protagonista Elisabeth Moss, oltre ad essere anche produttrice, esordisce qui alla regia, dirigendo tre dei dieci episodi, tra i migliori della stagione. Le scenografie descrivono la storia delle donne fertili deportate e violentate a fini riproduttivi sotto l’occhio del dio evocato dagli abitanti di Gilead, tramite varie location, tutte perfette nel descrivere l’orrore vissuto dalle ancelle, e altrettanto fa il reparto dei costumi, anch’essi impeccabili. La fotografia sottolinea sempre con crudezza e realismo ogni scena, le inquadrature e la luce lavorano fianco a fianco senza avere mai cadute di stile. Le sceneggiature raccontano senza fronzoli tutto quello che i singoli personaggi provano, i modi in cui agiscono e reagiscono, chi per mantenere un assurdo status quo, chi per ribaltarlo completamente. E grazie a un cast preparato e appassionato, ogni emozione passa immediatamente allo spettatore lasciandolo avvinto e senza scampo, proprio come le vittime della storia.


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Quello che accade all’inizio della stagione è solo un timido antipasto di ciò a cui si assiste via via che gli episodi dipanano la matassa. In questo quarto capitolo non c’è neanche la parvenza del perdono, non esiste possibilità di redenzione. Esiste solo la vendetta, espressa senza mezzi termini anche da personaggi che fin qui si potevano pensare come, se non deboli, quantomeno a tratti arrendevoli. La scrittura ha anche questa volta un ruolo fondamentale nel far scorrere ogni episodio alla velocità della luce, 50 minuti volano via come fossero 20, anche grazie a un montaggio preciso e puntuale che assembla i tanti accadimenti e colpi di scena, di cui la serie è ricca, con la qualità finale di un abito di alta sartoria. Ogni silenzio che viene mostrato è più eloquente di mille parole, gli sguardi in macchina della protagonista sono talmente potenti che spesso si ha l’impressione di sapere cosa succederà, una frazione di secondo prima che ciò accada. E poi accade davvero.


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Elisabeth Moss delinea ancora una volta un personaggio forte e determinato, al limite delle possibilità umane, tanto da non escludere in alcuni momenti drammatici persino una fine disperata. La sua June rappresenta la somma delle altre che a lei fanno capo e che in lei ripongono ogni speranza di salvezza. È come una belva in gabbia, un felino divenuto selvatico suo malgrado a causa delle crudeltà indicibili cui è stata sottoposta, un animale che adesso fa fatica a distinguere le intenzioni delle persone. Tra chi non la rispetta e chi la ama, per lei non passa un chiaro abisso ma qualcosa divenuto appannato a causa del buio di cui è caduta preda per troppo tempo. Un buio al centro del quale c’è soltanto una luce, piccola ma intensa, una lampadina lontana che la guida verso il suo duplice scopo: la liberazione di sua figlia e una vendetta bollente e definitiva. Quello che ha dovuto sopportare è il peso degli abomini compiuti da altri, di fronte ai quali ha potuto fare molto ma non abbastanza, almeno finora.


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Sono due donne quelle contro cui June stabilisce una sfida profonda e acerrima, due donne contrapposte alle compagne di sventura sue sodali, prima fra tutte Janine. Zia Lydia che nonostante i suoi sforzi per controllarla non riesce mai a domarla definitivamente e Serena che vorrebbe essere una madre perfetta e per questo prova un malcelato senso di invidia verso la donna che avrebbe dovuto assolvere in sua vece al compito di portare in grembo la sua progenie. Due donne che invece di aiutarne un’altra, la sottomettono al sistema abominevole che hanno contribuito a creare. I testa a testa che ne scaturiscono sono dei match estremi che farebbero impallidire anche i più consumati e vincenti pugili di tutti i tempi. La patina di falsità che avvolge gli abitanti di Gilead è il filtro attraverso il quale si comunica, un ingenuo mezzo per nascondere l’evidenza. Ma che a forza di accumulare risentimento finirà per esplodere in varie forme. L’ipocrisia nel delegare alla religione la volontà di stravolgere le vite di persone innocenti è la chiave per esprimere tutto questo, il modo che ha il racconto per provocare in chi guarda reazioni di disgusto e odio verso gli ipocriti e patimento e affezione verso chi resiste e combatte per riappropriarsi della libertà perduta. E sono le donne le prime a muovere i fili di questo perverso meccanismo.


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E poi ci sono gli uomini di June. Da un lato il suo aguzzino, Fred Waterford, cui era stata assegnata col nome di DiFred, cioè a lui appartenente, un uomo che dopo averne fatto ciò che voleva, perde ogni potere e diritto. Dal lato opposto c’è Luke, il marito a cui è stata strappata, con cui condivide la piccola Hannah, un uomo che nonostante le prove durissime durate anni non ha mai smesso di amarla e soprattutto di aspettarla. Ma c’è anche Nick, l’uomo che a Gilead è stato l’unico di cui June ha potuto fidarsi e col quale è stata costretta a generare Nicole, la bambina nata dal loro amore che ha sospeso parzialmente le difficoltà del sopravvivere al centro di un’odissea. Nick nel frattempo è diventato a sua volta un Comandante, per cui rappresenta una paradossale sintesi tra Fred e Luke. Il periodo passato con lui è stato salvifico per June, motivo per cui prova un trasporto differente per lui rispetto a quello che prova per suo marito. E la cosa si fa qui ancor più evidente.


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Per quello che riguarda la collocazione temporale, c’è un elemento che rende evidente il fatto che la serie non è ambientata in un imprecisato futuro ma in un presente parallelo, una realtà alternativa alla nostra in cui sono rimaste solo poche donne fertili. In uno degli ultimi episodi, Fred deve partire e Serena gli dà appuntamento su Zoom, l’app di videoconferenza divenuta famosissima l’anno scorso in piena pandemia. Una vera e propria contaminazione narrativa: al posto del coronavirus qui troviamo un altro cambiamento radicale. Mentre finora da una parte c’erano i carnefici e dall’altra gli oppressi, adesso assistiamo a un cambio di fronte che sembra definitivo. Ma solo in apparenza. Perché uno dei punti di forza della serie è proprio nel continuo mutare della condizione dei personaggi, togliendo ogni riferimento e certezza su quello che potrebbe succedere, moltiplicando così i possibili sviluppi.


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Per i prossimi Emmy (che si terranno il 19 settembre prossimo) la serie ha ottenuto ben 21 nomination, dietro soltanto a The Crown e The Mandalorian con 24 e WandaVision con 23. E, solo per fare un esempio, nella categoria “Miglior attrice non protagonista in una serie drammatica” ha ottenuto ben 4 candidature su 8, mentre in quella per il “Miglior attore non protagonista in una serie drammatica” ne ha 3. Senza contare l’ovvia candidatura da protagonista di Elisabeth Moss che dovrà però vedersela con Olivia Colman, che nei panni della Regina Elisabetta II viene già data da molti come la vincitrice.


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Chi non avesse ancora iniziato la visione della serie, oltre che su TimVision che ne detiene i diritti di distribuzione in Italia, può recuperare le prime due stagioni di The Handmaid’s Tale anche su Amazon Prime Video, che in futuro potrebbe anche estendere l’accesso ai capitoli successivi. Nel corso del 2020 è stata confermata la produzione di una quinta stagione che non è stata fissata come ultima. Il finale di stagione altamente drammatico apre, anzi spalanca le porte a nuovi cruenti sviluppi che porteranno tutti i personaggi a fare i conti con le scelte fatte in precedenza. E sebbene non possiamo esserne certi, ci aspettiamo che la capacità della serie di stupire e affascinare non scenda di un millimetro. Sperando che la produzione non venga di nuovo rallentata a causa del virus e si possa assistere a un seguito già dalla metà del 2022.


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VALUTAZIONI

dal trailer all’intera serie
Aspettativa 8 Potenziale 9,5

soglia d’attenzione
Scorrevolezza MEDIO/ALTA Impegno MEDIO

visione
Intrattenimento 8 Senso 9 Qualità 9
Giudizio Complessivo 8,7

The Handmaid's Tale | stagione 4
drammatico | USA | 29 apr - 1 lug 2021 | 10 ep / 50 min | TimVision

ideatore Bruce Miller

personaggi interpreti
June Osborne Elisabeth Moss
Serena Joy Waterford Yvonne Strahovski
Fred Waterford Joseph Fiennes
Janine Lindo Madeline Brewer
Lydia Clements Ann Dowd
Emily Malek Alexis Bledel
Luke Bankole O. T. Fagbenle
Nick Blaine Max Minghella
Moira Strand Samira Wiley
Rita Blue Amanda Brugel
Joseph Lawrence Bradley Whitford
Mark Tuello Sam Jaeger
Esther Keyes Mckenna Grace

critica IMDB 8,3 /10 | Rotten Tomatoes critica 7 /10 utenti 3,7 /5 | Metacritic nd

camera Arri Alexa Mini, Canon K35 and Zeiss Standard Speed Lenses | Sony a7S, Canon K35 Lenses (alcune riprese)
aspect ratio 2 : 1

 

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Commenti (3)

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  • pace830sky

    20 Luglio 2021, 16:45

    Grato per la segnalazione dell' uscita della 4.a stagione, leggo quasi con dispiacere della ulteriore radicalizzazione dello scenario.

    Se l'originale (=prima stagione = romanzo del 1985) era un po' una antologia dei soprusi subiti dal genere femminile (*) in ogni luogo ed in ogni tempo (compresa la contemporaneità è ovvio che sviluppando il tema non si potesse continuare a parlare di un mondo di oppressione fascistoide senza far entrare nella storia forme di resistenza organizzata sempre più spinte.

    Speriamo (ma non credo) che dopo tante scene di ancelle impiccate pubblicamente (con esposizione prolungata della salma appesa, stile medio evo) la serie non finisca con scene di ex oppressori sconfitti impiccati ai lampioni delle strade...

    (*) quanto meno valutando epoche passate con l' ottica contemporanea


    La 4.a stagione anche se non ancora selezionabile, è già elencata nel catalogo Prime Video, cosa che fa supporre una prossima disponibilità anche su questa piattaforma.
  • marklevi

    20 Luglio 2021, 17:22

    la precedente non mi aveva coinvolto quanto questa, davvero perfetta. La Moss a dir poco incerdibile nelle performance. Fotografia e luce bellissima in molte scene.
    Io so che la prossima stagione sarà l'ultima, per fortuna.
  • pace830sky

    11 Agosto 2021, 06:12

    Nella 4.a stagione riprende in modo abbastanza virulento la identificazione visiva della religione immaginaria dello stato fascistoide ed integralista di Gilead con il cristianesimo, in modo più soft verso la fine quando il gerarca Waterford con la moglie Serena, espatriati in Canada, si recano a pregare in una chiesa cristiana, in modo più semplice e diretto in una delle prime puntate in cui la tortura del waterboarding è messa in scena come un rito religioso, con una croce che spicca sull'asciugamano posto sul volto della vittima (*):

    [IMG]https://cdn.newsbusters.org/styles/blog_image_50_/s3/2021-04/The%20Handmaid%27s%20Tale%20-%2012_48_00%20AM_0.jpg[/IMG]


    Per non scadere troppo (la serie è stata accusata di pornografia della violenza" il tono poi si placa per seguire la protagonista June nella sua fuga per unirsi ad una (inesistente) resistenza per finire con puntate molto più pacate (di più non posso dire) in preparazione del gran finale, abbastanza tosto ma di tutto rispetto:

    [spoiler]June riesce a compiere la sua vendetta su Waterford, linciandolo insieme ad un gruppo di ancelle, ed in una fugace immagine finale se ne vede il corpo appeso ad un muro con il motto ribelle nolite the bastardes carborundum, che in un ironico linguaggio inventato inviata a non far prendere il sopravvento alle forze del male. [/spoiler]

    D' altro canto la svolta che da il senso all' intera storia come apologo femminista c' é già stata qualche episodio prima, quando alle Ancelle espatriate riunite nel cerchio di aiuto reciproco si indica chiaramente la strada: basta cercare la pace interiore nella rassegnazione, ciò che vi darà pace è la lotta attiva, anche violenta, se necessario.

    Perché, come dice il prof. Barbero Rivoluzione non è mandarli in pensione, rivoluzione è farli fuori.



    (*) nel w.b. la vittima è sdraiata con un asciugamano sul viso su cui si versano secchiate di acqua per far provare il terrore dell' affogamento senza lasciare tracce fisiche della tortura

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