Il diavolo in Ohio | recensione della miniserie
Quando una ragazza viene portata in ospedale in stato di shock e con un pentacolo inciso sulla schiena, un’assistente sociale prende a cuore la sua situazione e prova a scoprire una verità che si delineerà come sconcertante e difficile da sradicare
Una ragazza viene portata in ospedale in stato di shock. Quando Suzanne Mathis, un’assistente sociale, cerca di interagire con lei per capire chi sia e da dove venga, la giovane ancora traumatizzata e con la schiena marchiata da un pentacolo, inizialmente non risponde. Ma una volta superati i primi momenti inizia a fidarsi della donna e le rivela di chiamarsi Mae, senza ulteriori spiegazioni. La struttura che la ospita non può tenerla ancora con sé e le case famiglia disponibili sono tutte piene. Così Suzanne decide di portare Mae a casa sua in attesa di trovarle una sistemazione adeguata. Mentre le tre figlie di Suzanne, Dani, Helen, ma soprattutto Jules, cercano di far sentire a suo agio la nuova arrivata, la ragazza prova a integrarsi anche a scuola con buoni risultati a livello sociale sia per lei che per Jules. Pian piano però vengono a galla verità sconcertanti circa la sua provenienza e gli scopi cui la sua gente voleva arrivare, sottoponendola a un rito terribile e definitivo.
Basata sul romanzo di Daria Polatin (che diventa anche showrunner della serie), ispirato a una storia vera, Il diavolo in Ohio si presenta all’inizio come un prodotto in grado di scuotere le sensibilità di molti accendendo un faro sulle controversie circa libertà di culto contro coscienza collettiva. La follia di un culto satanico (che sembra non discostarsi troppo da alcune religioni quando parla di sacrificio e soprattutto di dolore) di cui resta vittima una ragazza in età da scuole superiori, viene sviscerata attraverso il momento di rottura mostrato nella prima scena in cui Mae fugge da chissà dove con in mano un coltello. Il fascino dell’oscuro si insinua nello spettatore che anche un po’ voyeuristicamente si addentra in una realtà di cui vorrebbe conoscere i meccanismi per poter decodificare a dovere le intenzioni ma specialmente le motivazioni che portano delle persone a credere nel padrone degli inferi. È tutta da ridere la scena della famiglia che seduta a tavola lascia che a ringraziare per il cibo ricevuto dal Signore sia la ragazza appena accolta. Che si chiude con la piccola di casa che esclama che non se la ricordava così una preghiera all’Altissimo e viene immediatamente bloccata dai grandi. Un primo momento che crea un piacevole contrasto ma la cui efficacia non perviene successivamente ad altro.
La parte importante del racconto è quella che riguarda il satanismo e i suoi riti e simboli. Un’indagine accurata sul mondo delle sette, particolarmente quelle sataniche, è il presupposto da cui parte la storia che viene invece subito declinata in favore di qualcosa più vicino a Una mamma per amica misto a un poliziesco di serie B, piuttosto che a Rosemary’s Baby. Ci sono diversi aspetti che avvicinano il prodotto più a un telefilm che a una serie tv. Per conoscere i personaggi che fanno parte della vita di Mae bisogna aspettare oltre la metà degli episodi e il loro approccio resta comunque molto in superficie. L’accento viene posto maggiormente prima sul rapporto tra Mae e Suzanne, sostenuto dal parallelo sul vissuto della donna quand’era ragazza, poi sulle indagini per arrivare alla verità. Suzanne nasconde un passato che però non viene raccontato subito. Ci viene mostrata una cicatrice sul suo polso fin dall’inizio, più e più volte, senza che se ne spieghi l’origine. Il che oltre che fastidioso risulta lezioso, quasi a voler celare qualcosa di enorme che non ci si aspetta. Che però non c’è. Poi arriva anche il nuovo poliziotto di zona, bello e fascinoso, capace di una sensibilità notevole in netto contrasto con quello del collega che amministra la piccola comunità da cui viene la ragazza. Così piuttosto che una serie mystery diviene un crime, neanche di particolare spessore.
A peggiorare la situazione arriva l’inserimento di Mae nella vita della sua coetanea Jules, che prova ad aiutarla più che può fino a quando non inizia a sentirsi manipolata. E qui qualcosa di buono avviene perché viene seminato il dubbio circa il fatto che la bionda protagonista dagli occhioni chiari e dolci sia davvero vittima o al contrario carnefice. Anche perché il suo vissuto non sembra esser stato sradicato affatto con l’essere diventata parte di una famiglia a suo modo normale e il suo credo appare quasi più forte di prima. Inoltre l’analisi psicologica, anche se ovviamente romanzata, è sufficientemente profonda e complessa e viene trattata con la giusta delicatezza, non solo su Mae ma in maniera particolare su Suzanne e sul perché le stia così tanto a cuore risolvere il mistero.
Il problema è sul fatto che il focus resta troppo ancorato a temi che non costituiscono il nucleo dell’intreccio così com’era stato promesso fin dal titolo. Non che non sia corretto spostare l’attenzione anche su altre sottotrame che arricchiscano gli avvenimenti (come il rapporto tra Suzanne e il marito Peter che ha non poche grane sul lavoro, oppure quello tra le tre sorelle che in qualche modo proprio grazie all’arrivo di Mae diventa decisamente migliore). Ma il fatto che il tema centrale divenga quasi di sfondo impoverisce notevolmente la costruzione della serie. Anche perché molto di quello che sembra voler condurre lo spettatore verso una certa direzione si rivela poi essere tutt’altro. Fino agli ultimi episodi che finalmente svelano cosa c’è dietro tutti quei misteri, troppo tardi per restituire un senso di compiuto e soddisfacente. Un’occasione mancata per andare a fondo in una realtà davvero complessa e potente, che se voleva restare su un livello di finzione efficace avrebbe potuto rifarsi anche solo da lontano alle atmosfere del Suspiria di Dario Argento (o perché no, anche alla versione di Guadagnino) e allo sconvolgente orrore di Hereditary. Invece la sensazione è proprio quella contraria, come se una storia che tratta del Diavolo volesse diventare scialbamente intimista per risultare alla fine rassicurante. Un ossimoro niente male.
VALUTAZIONI
dal trailer all’intera serie
Aspettativa 6,5 Potenziale 8,5
soglia d’attenzione
Scorrevolezza MEDIA Impegno MEDIO/BASSO
visione
Intrattenimento 6 Senso 7 Qualità 6
Giudizio Complessivo 6,3
Il diavolo in Ohio | miniserie (Devil in Ohio)
thriller, drammatico | USA | 2 set 2022 | 8 ep / 43 min | Netflix
ideatore Daria Polatin
personaggi interpreti
Suzanne Mathis Emily Deschanel
Mae Dodd Madeleine Arthur
detective Alex Lopez Gerardo Celasco
Peter Mathis Sam Jaeger
Jules Mathis Xaria Dotson
Helen Mathis Alisha Newton
Dani Mathis Naomi Tan
Adele Thornton Marci T. House
sceriffo Wilkins Bradley Stryker
Isaac Kimura Jason Sakaki
Sebastian Zelle Evan Ellison
Teddy Harrington Ty Wood
Tatiana Nelson Djouliet Amara
Malachi Tahmoh Penikett
Gina Brooks Eva Bourne
Noah Keenan Tracey
critica IMDb intera stagione 5,9 /10 singoli episodi 6,5 /10 | Rotten Tomatoes critica 5,2 /10 utenti 2,2 /5 | Metacritic critica 56 /100 utenti 5,9 /10
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Commenti (1)
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... sette...sataniche,... la storia ... subito ... più vicino a Una mamma per amica misto a un poliziesco di serie B, ... più a un telefilm che a una serie tv.... approccio resta comunque molto in superficie....oltre che fastidioso risulta lezioso,... qualcosa di enorme che non ci si aspetta. Che però non c’è. ... il nuovo poliziotto di zona, bello e fascinoso, ... piuttosto che una serie mystery diviene un crime, neanche di particolare spessore.
Se non avessi stima della ragazzine adolescenti direi che è roba per loro.
Resta il fatto che la narrazione destinata ad un pubblico femminile (è innegabile che siamo da quelle parti) riesce ad essere quasi peggio di quella destinata al pubblico maschile, o forse sono gli stereotipi alla base di questa narrativa di serie B (sia colorata di rosa che di celeste) ad essere insopportabili.