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Pagina 1 - SOMMARIO
I falsi miti dei crossover passivi
Per poter usare un crossover elettronico occorre, a mio avviso, un minimo di conoscenze dei filtri, sia dal punto di vista teorico che da quello pratico. Ho deciso allora, una volta per tutte, di scrivere una serie di articoli verticali su questo argomento, sulla scorta di tanti filtri elettronici effettivamente progettati e realizzati, aggiungendo, come al solito e per la massima chiarezza, un corredo di misure effettuate per l’occasione su un sistema reale. Dicevo della rete: ovunque possiamo leggere definizioni incredibili, tra i siti degli stessi rivenditori e le “lezioncine” dei professori da tastiera su YouTube. Quest’ultimo è ormai diventato territorio di conquista di quelli che si sono sporcati le mani di farina e si credono fornai, che con lo sguardo ammiccante di chi la sa lunga enunciano teorie che oscillano tra il “mediamente sballato” e il “similvero”. Mancano sempre le dimostrazioni pratiche, quelle fatte con qualche misura credibile, e mancano anche i suggerimenti sulle soluzioni da adottare. Ad una abbondante descrizione di parametri trascurabili e dichiarazioni perentorie, mancano infatti le spiegazioni pratiche, quelle che dovrebbero utilmente servire nella pratica a chi ha intenzione di “giocare” con un crossover elettronico. Una discussione appare comunque sempre presente, come una costante imprescindibile, e riguarda i danni “tremendi” che può fare un crossover passivo, come la mancanza di dinamica e di una mai specificata attenuazione che questi impongono. Per non parlare degli sfasamenti, paventati come il male assoluto ma mai quantificati! Ora io so che se l’attenuazione di un crossover passivo supera 0,3 dB occorre darsi da fare per cambiare induttanze e quanto posto in serie al segnale oppure cambiare fornitore. Ho detto 0,3 dB, non di più. In compenso possiamo vedere e sentire una marea di false informazioni, enunciate in un “tecnichese” così elegante da sembrare quasi vero e perciò facile da comprendere. Ecco, l’unico punto che mi sento di assegnare a questi “tecnici” riguarda la sinteticità, dovuta all’assenza di spiegazioni precise, e la relativa brevità delle “lezioni” rese incredibilmente facili. La verità “vera” è quella che si potrebbe enunciare così: “Non esiste un crossover che suona meglio degli altri. Se fosse vero ci si adatterebbero tutti i costruttori in brevissimo tempo. Comunque siano costruiti i filtri crossover occorre che siano realizzati alla perfezione dal punto di vista acustico e che siano stati prima pensati con intelligenza.”
Il crossover elettronico
Per utilizzare in maniera proficua un crossover elettronico occorre prima di tutto… sapere cos’è, cosa può fare e cosa, soprattutto, non può fare. Il crossover elettronico, di qualunque natura sia, analogico o digitale, si preoccupa di prendere il segnale proveniente dal preamplificatore o direttamente dal lettore CD e suddividerlo a seconda delle frequenze in transito in quel momento. Così avremo, come per il crossover passivo, un passa basso destinato al woofer ed un passa alto che è destinato al tweeter, con l’inserzione, nei sistemi multivia, di un passa banda (che analizzeremo in seguito). A differenza del crossover passivo i segnali in transito hanno delle tensioni di lavoro basse, per altro su carichi dall’impedenza elevata. In una parola secondo la legge di ohm, possono gestire correnti ridotte, assolutamente non in grado di pilotare un altoparlante. Occorre allora che ogni ramo del filtro elettronico sia seguito da un amplificatore dedicato, che amplifica il segnale da consegnare al singolo altoparlante. Avremo così un amplificatore per ogni via, come illustrato in Figura 1. Certamente l’uso di due amplificatori in un due vie o di tre in un tre vie aumenta il costo di allestimento di un impianto, ma consente scelte diverse sulle configurazioni degli amplificatori per le diverse vie, a seconda della musicalità che vogliamo ottenere oltre ad una dinamica a volte superiore. Ad esempio risulta utile abbinare alla via media ed alla via alta un amplificatore magari meno potente ma più performante mentre per la via bassa può essere scelto un amplificatore di maggior potenza anche se meno raffinato. Un classico ad esempio è rappresentato dall’accoppiamento tra un tweeter con la cupola rigida ed una elettronica di potenza a valvole. Il crossover elettronico ha in genere una impedenza di ingresso che oscilla tra i 10 ed i 70 kiloohm ed una impedenza di uscita di qualche centinaio di ohm, valori che non preoccupano più di tanto per l’interfacciamento con gli amplificatori a valle e con la sorgente a monte. Per realizzare una filtratura elettronica fatta bene occorre almeno un microfono di buone caratteristiche (ed in gamma di incrocio tutti i microfoni risultano mediamente affidabili), una scheda audio di medie prestazioni, magari quella contenuta già nel computer, ed uno dei tanti software di misura. La cosa è meno critica di quello che si potrebbe pensare, visto che le frequenze destinate agli incroci che ci interessano sono certamente superiori al limite minimo di misura del sistema. Si tratta, insomma, di destinare un centinaio di euro a tutto quello che occorre per fare un buon lavoro oltre, ovviamente, al crossover elettronico ed alle elettroniche di potenza. Poi se non desiderate complicarvi eccessivamente la vita c’è la vasta scelta di schede CLIO dell’Audiomatica che riuniscono quello che serve come hardware ad un programma dedicato proprio alle misure acustiche.
La scelta del filtro crossover
Vediamo come scegliere il crossover elettronico con un minimo di furbizia, partendo da lontano... Il crossover elettronico, nella sua forma più semplice, si preoccupa di fornire alle sue uscite lo stesso segnale di ingresso filtrato secondo un andamento predefinito. Ovviamente i filtri passa basso, in genere destinati al woofer oppure al subwoofer, attenuano tutte le frequenze al di sopra della frequenza di incrocio mentre i filtri passa alto destinati ai tweeter si preoccupano di attenuare gradualmente tutte le frequenze al di sotto della frequenza scelta per l’incrocio. Gli andamenti predefiniti in genere sono tre: Bessel, Butterworth e Linkwitz Riley con qualche ordine a disposizione, in genere dal primo al quarto. Sapendo che ogni ordine aggiunge una pendenza di 6 decibel per ottava (6 dB/oct) possiamo affermare che il quarto ordine sarà caratterizzato da una pendenza di attenuazione di 24 dB/oct (6 x 4 = 24) mentre il primo ordine avrà soltanto 6 dB/oct. Il secondo ed il terzo ordine hanno rispettivamente una pendenza di 12 e 18 dB/oct. Che significa più precisamente una pendenza di “tot” decibel per ottava? Una ottava superiore sta a significare che la frequenza presa in considerazione semplicemente raddoppia. Così l’ottava superiore ai 1000 Hz varrà 2000 Hz, mentre una ottava inferiore sarà centrata a 500 Hz, ovvero alla metà della frequenza presa per riferimento. Nella Figura 2 potete valutare l’andamento di quattro filtri passa basso centrati a 1000 Hz (solo per farle venire al centro del grafico!) di ordine crescente, dal primo al quarto. E’ facile verificare come la piegatura più decisa sia quella del quarto ordine mentre quella più blanda sia quella del primo ordine, un tipo di filtro che, se attentamente implementato, vi invito a non sottovalutare.
Nella Figura 3 vediamo invece cosa succede variando il tipo di filtro, da Chebyshev a Linkwitz Riley. Per la miglior visualizzazione abbiamo scelto dei filtri del secondo ordine con una frequenza di incrocio di 1000 Hz. Come possiamo vedere la porzione di frequenze iniziale, molto prima della frequenza di taglio scelta, è praticamente identica per tutti i tipi di filtro. In buona sostanza nel nostro grafico tutti i tipi di filtro non attenuano assolutamente nulla al di sotto dei 200 Hz. Molto oltre la frequenza di incrocio, nel nostro caso oltre i 5000 Hz, ancora tutte le risposte vanno a sovrapporsi secondo l’ordine del filtro e quindi secondo la pendenza scelta. La porzione di frequenze compresa tra i 200 ed i 5000 Hz è quella che viene condizionata dal tipo di filtro e del suo fattore di merito, indicato spesso con la lettera q. Il Butterworth ha un fattore di merito di 0,707, il Bessel di 0,578 mentre il Linkwitz Riley ha un fattore di merito di 0,5. Il Chebyshev ha un fattore di merito che in questo caso è stato scelto pari a 1, ma che può spaziare da 0,8 ad oltre 2 a seconda del picco di risposta che ci interessa ottenere nelle vicinanze della frequenza di taglio. Per un ingresso di un volt la risposta alla frequenza di incrocio vale allora: Vout = 20 x log10 (Q) Per altre tensioni di ingresso va sottratto il risultato in decibel rispetto al segnale di ingresso. Alla frequenza di taglio possiamo vedere e calcolare che la risposta vale esattamente come la tensione di ingresso (0 dB) per il filtro Chebyshev, 0,707 volte la tensione di ingresso per il filtro Butterworth (-3 dB), metà del segnale di ingresso per il Linkwitz Riley (-6 dB) e poco meno della metà (-4,76 dB) per il filtro di tipo Bessel. Oltre a questi filtri cosiddetti “canonici” è possibile in realtà progettare filtri con fattori di merito differenti, dipendenti come vedremo dagli altoparlanti da filtrare. Ovvio allora che per fare un incrocio acustico preciso occorra un crossover elettronico che abbia la possibilità a parità di ordine, e quindi di pendenza, di variare ANCHE il fattore di merito. Ora vedremo perché, e vedremo come si sia generata la convinzione erronea che utilizzando i filtri attivi non servano misure e messe a punto.
Primo teorema del filtro crossoverQualunque tipo di filtro crossover, sia esso passivo, attivo, digitale e perfino meccanico, obbedisce ad un semplice ed unico teorema che pur rappresentando la chiave di volta della progettazione chissà perché viene bellamente dimenticato quando si parla di filtri attivi. Il teorema recita più o meno così: IL TEOREMA DEL FILTRO CROSSOVER “Il filtro crossover, di qualunque natura sia, deve fare in modo che la sua risposta SOMMATA a quella dell’altoparlante da filtrare conduca all’ andamento acustico desiderato, perché è la risposta dell’altoparlante filtrato che rappresenta quello che noi ascolteremo” Questo teorema NON sarebbe valido soltanto se l’altoparlante da incrociare avesse una banda passante assolutamente piatta dal più profondo infrasuono al più inaudibile ultrasuono e con un offset che vale esattamente zero, ovvero col centro acustico dell’emissione che si trova alla stessa profondità del mobile dove è fissato. Nel caso dei filtri crossover passivi occorre anche che l’impedenza sia assolutamente piatta e costante in tutta la banda di frequenze. Ovviamente un altoparlante così per ora non esiste! E siccome una immagine vale più di mille parole eccoci ad un esempio pratico.
Un caso reale con filtro a 2 vie
Per spiegare meglio questo teorema partiamo da un diffusore multiamplificato che un mio cliente ha portato in laboratorio. Il mio cliente, novello progettista da Internet, ha acquistato un crossover elettronico a due vie ed un secondo amplificatore di potenza, un 100 watt a mosfet che ha destinato ai woofer mentre il primo già in suo possesso, un bell’amplificatore a valvole da una sessantina di watt, è stato destinato ai tweeter. Su questo diffusore autocostruito col pannello frontale leggermente inclinato con un angolo a casaccio, è montato un woofer da 165 millimetri nominali accordato in bass reflex. "Nominali" significa, in poche parole, che stiamo parlando del diametro esterno, che non ha nulla a che vedere con l’effettivo diametro della membrana, che viene definito “diametro effettivo”. Un altoparlante si comporta come un “pistone rigido”, ovvero con un movimento univoco di tutta la membrana fino a che Ka=1 dove: K = w/c : a = raggio della membrana del woofer. In questa formula w rappresenta 2 x pg x f con pg, il cosiddetto “pi greco” che si può arrotondare a 3,1416 senza che l’errore diventi eccessivo. Rivoltando questa formula possiamo dire che la frequenza limite del movimento a pistone della membrana vale: f = c/(pg x d) dove c rappresenta la velocità del suono (circa 343,6 metri al secondo a 20° C di temperatura) e d= 2 x a ovvero il diametro effettivo della membrana. In buona sostanza possiamo dire che il woofer ha un movimento “a pistone” fino alla frequenza la cui lunghezza d’onda (c/f) eguaglia la circonferenza. Questa analisi elementare in questo caso ci dice che un woofer da 165 millimetri di diametro nominale e 133 millimetri di diametro effettivo della membrana avrà un movimento univoco della membrana che si comporterà come un pistone rigido fino a 822,3 Hz. Ciò rappresenta in realtà la pura teoria. In effetti a seconda della natura della membrana, della sua rigidità superficiale, del suo smorzamento e del suo profilo dalla bobina mobile al cestello avremo delle risposte leggermente differenti dal modello teorico.
Torniamo al nostro woofer da 165 mm che sistemato in un box e misurato senza alcun filtro crossover produce la risposta visibile in Figura 4. Si tratta di un bel woofer con la massa e la cedevolezza giuste, che uno “sconsiderato autocostruttore”, ovvero il mio cliente, ha sistemato sul pannello del diffusore, profondo 25 mm senza alcuna lavorazione interna, necessaria per prevenire le colorazioni che si generano nel tunnel acustico che si crea quando il woofer viene fissato su un pannello di buon spessore. Il tweeter di questo diffusore potrebbe scendere acusticamente al di sotto dei 2000 Hz ma anche qui occorre essere attenti. Una verifica effettuata a 100 dB di pressione media mostra una distorsione di terza armonica mediamente feroce (3,5 %). Il “progettista”, poco avvezzo ai calcoli del filtro passivo ma mediamente assennato, ha deciso di usare un crossover elettronico che gli promette un incrocio a 2500 Hz LR4 che sta ad indicare un Linkwitz Riley del quarto ordine. Dotato di un crossover elettronico molto “essenziale” ha assegnato questa frequenza al deviatore che fa scegliere la frequenza di incrocio ed ha considerato il lavoro come terminato. Anche il tweeter, un driver Res con la cupola rigida appena duro in gamma medioalta, aveva subito lo stesso trattamento, con la frequenza ben fissa a 2500 Hz con un filtro passa alto LR4.
Il risultato, che a detta del “progettista” doveva essere perfetto perché realizzato con un crossover elettronico, era semplicemente penoso, con una gamma media sguaiata e timbricamente scorretta. Scena manco a parlarne. La prima cosa che ho fatto è stata quella di misurare “il gioiello” e di vedere la risposta, che già dal solo rumore MLS avevo giudicato colorata. Infatti il risultato è quello di Figura 5, dove possiamo notare il classico andamento da “filtratura elettronica assolutamente teorica ma sbagliata”. Ho anche dato una occhiata di verifica sia al passa alto che al passa basso del crossover elettronico, che viceversa risultavano di una precisione notevole. Ho capito che allora ci sarebbe voluto del tempo, non tanto per ottenere una risposta corretta quanto per far capire al neo progettista che il filtro crossover, attivo o passivo che sia, richiede tempo, attenzione e misure.
Il passa-alto per il tweeter
Sono partito dal tweeter, che presentava un andamento quasi regolare ed in breve tempo sono giunto una risposta vicinissima a quella teorica. In questi casi occorrono due filtri del secondo ordine in cascata, ovvero uno in serie all’altro, col primo che all’occorrenza può essere anche bypassato, calcolato come un filtro teorico LR2 con taglio in questo caso a 2500 Hz. Il secondo filtro ha la frequenza di taglio ed il Q variabili. Ora un filtro Linkwitz Riley del quarto ordine è in effetti riconducibile a due filtri passa alto del secondo ordine con la stessa frequenza di incrocio, con ognuno dei due stadi che ha un q di 0,707, come i filtri di Butterworth. Come possiamo vedere dal grafico di Figura 6 è stato relativamente facile realizzare un passa alto che presentasse una risposta quasi identica all’andamento acustico totale che avevo scelto come target, proprio come accadeva con i filtri passivi, che pur seguendo le stesse regole e procedure risultano più difficili da realizzare. Probabilmente la fortuna dei filtri crossover attivi rispetto a quelli passivi deriva proprio da questa maggiore facilità di regolazione. Comunque il filtro attivo ad operazionali oppure quello digitale con l’immancabile DSP, con l’ausilio dei software molto potenti disponibili oggi, risultano relativamente facili da realizzare a patto che si sappia bene come agire. Sempre in Figura 6 vi faccio notare l’andamento a frequenze inferiori di quella scelta per l’incrocio. Bene, questo andamento acustico deve replicare alla perfezione quello scelto in partenza (in questo caso un LR4) perché a queste frequenze si determina l’andamento della fase acustica e si decide la scena che avrà il diffusore in ambiente. Per attuare questo incrocio ho usato due filtri passa alto del secondo ordine, col primo assolutamente teorico (Ft = 2500 Hz e q=0,707) seguito da un secondo passa alto elettronico con Ft 3300 Hz e q = 0,78. Come possiamo vedere questo filtro differisce notevolmente da quello “teorico” impostabile con un crossover elettronico inappropriato. E’ la dimostrazione che occorre agire con attenzione e che nulla può essere dato per scontato.
Il passa-basso per il woofer
Il woofer risulta per certi versi più difficile da filtrare, visto che in genere la sua risposta in asse è afflitta da una serie di break-up con la caratteristica risposta “in salita” del driver. Queste alterazioni devono essere eliminate perché in genere iniziano a frequenze inferiori a quella scelta per il taglio. Occorre allora modificare le frequenze di incrocio e soprattutto il fattore di merito del filtro (il q) per fare in modo che una risposta elettrica inizialmente dolce compensi i break-up ancor prima di attuare l’incrocio. L’azione ovviamente può essere combinata, gestendo con attenzione frequenze e q. Per ottenere un lavoro pulito anche dal punto di vista “ottico”, posto che ciò serva all’ascolto, occorrerebbe anche un equalizzatore parametrico da poter “settare” con una certa precisione, ma ce ne occuperemo nelle prossime puntate. In questo filtro ho seguito lo stesso metodo usato per il crossover del tweeter: un passa basso diciamo “teorico” (2500 Hz con q = 0,707) preceduto da un passa basso “variabile” che ho potuto “starare” fino ad ottenere la risposta acustica che avevo deciso. Tre verifiche acustiche in rapida successione mi hanno consentito, microfono e MLSSA alla mano, di trovare facilmente la risposta target. In Figura 7 possiamo vedere la risposta acustica del woofer filtrata correttamente con la frequenza di incrocio vicinissima a quella teorica. Questa risposta è stata ottenuta settando l’altro passa basso del secondo ordine a 3200 Hz con un q = 0,4. Anche in questo caso le frequenze di taglio elettrico appaiono abbastanza distanti da quelle teoriche per ottenere una risposta acustica corretta.
Alla fine del lavoro
Alla fine del lavoro di settaggio dei singoli filtri, passa basso e passa alto, è stato possibile, con piccolissimi ritocchi alla frequenza di taglio, inferiori a 50 – 100 Hz, attuare un corretto incrocio tra woofer e tweeter. Ovviamente tutto è stato verificato, sempre con microfono e scheda di misura alla mano, col diffusore completo ed i due amplificatori. In Figura 8 possiamo vedere il risultato finale, orientato ad una timbrica corretta, un andamento dalla resa acustica certamente più corretto di quello teorico impostato dal “progettista” e il più vicino possibile alla qualità dei singoli altoparlanti. Disponendo, come vedremo nelle prossime puntate, di un crossover elettronico ben costruito, dotato di un equalizzatore parametrico e di un delay, vedremo come ottimizzare anche la scena ricreata in ambiente. Spero che in questo primo approccio ai crossover elettronici vi sia chiaro che la frequenza di taglio elettrico impostata sul crossover elettronico non indica affatto la effettiva frequenza acustica che avranno gli altoparlanti una volta filtrati che poi è quello che ci interessa. Nella prossima puntata vedremo quali accorgimenti usare per effettuare degli incroci acustici perfetti con un metodo facile facile, e come ottenere una risposta in frequenza in linea con quello che vogliamo ottenere. ... Stay tuned! |
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