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La regina degli scacchi | la recensione
La regina degli scacchi | la recensione
Fabrizio Guerrieri - 10 Novembre 2020
“La serie migliore dell’anno e tra le migliori di tutti i tempi racconta di una bambina prodigio nel gioco degli scacchi che mentre continua a vincere fatica a gestire il suo privato e le conseguenti dipendenze da farmaci e alcol”
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La piccola Elizabeth Harmon rimasta orfana a causa di un incidente stradale viene portata in un orfanotrofio dove vengono somministrate ai bambini delle pillole tranquillanti. Mandata nel seminterrato a pulire i cancellini dal gesso fa la conoscenza del signor Shaibel, il custode dell’istituto, mentre gioca a scacchi da solo. Dopo varie richieste Beth riesce a convincere l’uomo a farsi insegnare il gioco. La bambina apprende velocemente anche grazie alla concentrazione che i farmaci che assume le danno e dopo essere stata adottata, il suo precoce talento inizia a farla conoscere prima a livello locale e poi, attraverso vari tornei, in tutta l’America. La sfida più grande diventa così quella contro i fortissimi giocatori russi. Ma si rivelerà secondaria rispetto ai problemi legati alle dipendenze da tranquillanti e alcol con cui dovrà fare i conti.


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Basata sull’omonimo romanzo di Walter Trevis del 1983 in cui spiccava un parallelismo con la vita del famoso scacchista Bobby Fischer, La regina degli scacchi (in originale The Queen’s Gambit, cioè il gambetto di donna, una delle aperture più antiche che si conoscano) è arrivata su Netflix senza avere alle spalle un lancio mediatico particolarmente forte ma si è subito rivelata una delle serie più interessanti degli ultimi anni, di sicuro la migliore di questo 2020. La serie si apre su un cambio di direzione. Improvviso. Lancinante. Un incidente stradale che lascia una bimba di nove anni senza madre, suo unico genitore. Viene quindi portata in un istituto per orfani. Quello che fin qui, in altre serie romanzate alla bell’e meglio, potrebbe essere il preludio a conseguenze drammatiche come il conflitto con una perfida direttrice aguzzina o atti di bullismo subiti dalle altre ragazze, scorre in realtà in maniera pacifica. Anche la somministrazione delle pillole bianche e verdi non si avverte come un problema ma come ciò che in quegli anni era probabilmente la norma. Il primo focus arriva quando Beth viene mandata negli scantinati e vede il custode seduto a un tavolo che senza un avversario di fronte sta giocando a scacchi. E quel posto resta vuoto fin quando la sua testardaggine non costringe l’uomo a farle da maestro. Impresa non facile dato che la piccola, una volta apprese le regole vuole imparare a vincere senza curarsi troppo delle moltissime leggi, codificate e non, del gioco nato in India quindici secoli fa.


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- Per le persone come te è difficile. Due facce della stessa medaglia. Hai un dono ma ne paghi il prezzo, difficile dire quale sarà. Avrai il tuo momento di gloria, ma per quanto? Hai così tanta rabbia dentro, devi stare attenta.
- Giochiamo.

Nonostante la sua spontaneità nel gioco in cui fa spesso lavorare l'istinto, Beth impara pian piano che bisogna lasciare poco al caso. Dallo studio continuo delle aperture e degli end game, al ripetere le sue stesse partite, fino ad imparare il russo - “I sovietici sono imbattibili” - nulla pare sfuggirle. Il suo “Giochiamo!” non è solo un esortativo per l'avversario. È il modo in cui Beth diventa un po’ per volta protagonista della sua vita. Una difesa contro quello che la segue in continuazione, la memoria di un passato doloroso che non accenna a diminuire in intensità e in conseguenze.


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“La scacchiera è un intero mondo in sole 64 caselle. Mi sento al sicuro lì dentro. È qualcosa che posso controllare, dominare. Ed è prevedibile. Se sbaglio, la colpa è solo mia.”
Sebbene appaia invincibile, Beth non è una supereroina come Wonder Woman. Al contrario è profondamente imperfetta a causa della dipendenza da tranquillanti e alcol che la portano spesso fuori dai binari. La ragazza vince, su chiunque, ciò che rende avvincente la serie sono proprio le sue vittorie. In apparenza. Ciò che la rende davvero grande è il modo in cui Beth arriva all'obiettivo. Gli eccessi di cui resta preda sono per alcuni versi quasi imperdonabili se non si tiene conto di quello che viene riportato continuamente alla memoria di Beth: sua madre. Una madre adorata, unico esempio, riferimento e sostegno per la piccola. Quando scompare, il suo unico rifugio diventa il gioco, ossessivamente, quasi alla maniera di chi è affetto dalla sindrome di Asperger. La madre adottiva riesce in qualche modo a prenderne il posto, diventando anche sua agente e ottima compagna di viaggio, ma non può certo cancellarla. Il padre biologico che avrebbe voluto far parte della sua vita non ha potuto. Quasi tutte le figure maschili che incontra, in qualche modo sembrano sostituirlo, perfino i suoi avversari sconfitti che, a parte poche eccezioni, ne restano affascinati e la stimano piuttosto che invidiarla. Esattamente come si conviene a chi pratica un gioco onorevole com'è quello degli scacchi.


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Qualcuno ha incautamente accostato la figura di Beth a quella di Rocky - il quarto Rocky - a causa di alcune adiacenze. Come il parallelo che interviene nel rapporto tra Stati Uniti e Russia. Ma le due prospettive sono paragonabili solo in parte. Lo stress del pugilato che è uno tra gli sport più pesanti fisicamente può essere accostato a quello che deriva dall’impegno mentale necessario negli scacchi. Ma i due periodi storici sono distanti anni luce in termini socio-culturali. E mentre il film con Stallone era un mega spot propagandistico a favore degli USA di Reagan a sfavore dell’Unione Sovietica, Beth (e la serie) non giudica né l'una né l'altra parte. Semmai tende a scardinare le ipocrisie e gli apparati che sono parte integrante di entrambi i Paesi, se non di qualsiasi altro.


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“Creatività e psicosi vanno spesso insieme. Come, del resto, genio e follia.”
La regina degli scacchi pone una prospettiva talmente alta - partendo dal basso - che prescinde da qualsiasi definizione sessista come femminismo o maschilismo, nonostante il fatto che quello degli scacchi sia un mondo, forse ancora oggi, prevalentemente maschile (emblematica la scena in cui una ragazza ringrazia Beth perché dopo il suo passaggio hanno fondato un club di gioco femminile nel suo college). Ciò su cui la sceneggiatura si focalizza è scavare talmente in profondità nell’intimità della protagonista che anche quando i suoi comportamenti risultano potenzialmente disturbanti è difficile non parteggiare per lei. Per due motivi principali: i due possibili punti di vista. Se ci si cala nei panni di Beth - che si sia uomo o donna non conta perché è talmente evoluta da possedere i tratti caratteriali di entrambi - non possiamo che ritenerla pura nonostante tutto, nonostante i difetti già elencati e la rabbia che prova quando il gioco non va come vorrebbe. Se invece la si guarda dall’esterno, il fair play previsto dalle regole non scritte degli scacchi dona un fascino a Beth e a tutta la serie fondato sul contrasto tra gli scontri bellici di livello elevatissimo accanto alla leggerezza propria di qualsiasi gioco, almeno fin quando lo si intende come tale. Viene facilmente alla mente la partita leggendaria tra Fischer e Spasskij del 1972 che divenne parte integrante della Guerra Fredda assieme alle sfide USA-URSS ai giochi olimpici di quegli anni.


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Una particolarità della serie è che non appare come un'invenzione ma come una storia realmente accaduta. Che non è. La messa in scena è minuziosa, dai reparti tecnici, regia di Scott Frank in testa, alla costruzione dei singoli personaggi - caratterizzati dalle ottime sceneggiature e dialoghi modellati e cesellati dagli interpreti - su corpi che vestono anni ‘60, vivono negli anni ‘60 ma hanno una visione libera e moderna che ben si accosta alle loro menti brillanti di abili strateghi. E d’altronde quale epoca è migliore di quella in cui tutto sembrava possibile per raccontare una storia simile?


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Anya Taylor-Joy è pura brace che arde sotto la cenere. Trattiene il personaggio quel tanto che basta a farlo esplodere al momento giusto, mescola l’algida sicurezza della perfetta scacchista alla sregolatezza dell’adolescente benestante e sbandata. La sua Beth non è bella in senso assoluto ma dal modo di porsi alle acconciature e all’abbigliamento en vogue risulta affascinante e seducente quanto Ann-Margret (se non avete ancora visto la serie, per capire un po’ lo stile di Beth potete guardare la scena in cui balla da sola davanti al video originale di Venus degli Shocking Blue, non contiene spoiler). Il signor Shaibel (Bill Camp) è burbero ma non è in grado di resistere alla determinazione della ragazzina che vicino a lui e alla sua guida diventa sempre più geniale. L’amica Jolene (Moses Ingram) è la perfetta sopravvivente da cui imparare a resistere di fronte a qualsiasi cosa. Alma, la madre adottiva (Marielle Heller), è una discreta pianista che a causa del panico da palcoscenico non è mai diventata concertista ma segue la figlia assecondandola, senza invaderla. Townes (Jacob Fortune-Lloyd), tra i primi avversari di Beth diventa anche il suo primo vero amore. Benny Watts (Thomas Brodie-Sangster) è il campione americano che all’inizio le dà del filo da torcere ma poi condivide con lei mosse e strategie allenandola a usare la mente in modi alternativi per poter vincere contro i più forti. Anche contro l’impenetrabile Vasily Borgov (Marcin Dorociński), il sovietico campione del mondo contro cui Beth non sente di avere chance a meno di riuscire a trovare il giusto equilibrio fisico e mentale per giocare perfettamente la partita più importante.


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Essendo una serie a stagione unica, al momento non è previsto un seguito nonostante l’enorme successo che sta ottenendo. Ed è difficile dire se sia meglio così in modo che non venga a deteriorarsi col tempo o, al contrario, sperare che le avventure di Beth Harmon continuino come quelle di altri personaggi seriali d'autore.
Per quello che riguarda la protagonista, dopo aver girato il delizioso Emma. tratto dal romanzo di Jane Austen, uscito faticosamente a metà di quest’anno, in cui è una combina-matrimoni nell’epoca georgiana a volte maldestra, altre invadente, la ventiquattrenne Taylor-Joy interpreterà Furiosa nell’omonimo spin off di Mad Max: Fury Road, nei panni del personaggio della guerriera rasata a zero che nel film del 2015 è stato magnificamente interpretato da Charlize Theron. Pare proprio che la ragazza si farà e come Beth, casella dopo casella, potrebbe arrivare a scalare le vette dell’Olimpo dell’Immagine, cosa che ci auguriamo di cuore vista la qualità, la forza e la grazia con cui è in grado di calarsi nei ruoli più complessi e grazie a lei, alla fine più compiuti.


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VALUTAZIONI

dal trailer all’intera serie
ASPETTATIVA 8 RISULTATO 9.5

soglia d’attenzione
SCORREVOLEZZA ALTA IMPEGNO MEDIO

visione
INTRATTENIMENTO 9 QUALITÀ 10

 

 

La regina degli scacchi | miniserie (The Queen’s Gambit)
drammatico | USA | 23 ott 2020 | 7 ep / 56 min | Netflix

ideatori Scott Frank, Allan Scott regia Scott Frank soggetto Walter Tevis (dal suo romanzo omonimo) sceneggiatura Scott Frank fotografia Steven Meizler

personaggi interpreti
Elizabeth “Beth” Harmon Anya Taylor-Joy
Mr. Shaibel Bill Camp
Beth giovane Isla Johnston
Jolene Moses Ingram
Mrs. Alma Wheatley Marielle Heller
Alice Harmon Chloe Pirrie
Harry Beltik Harry Melling
Townes Jacob Fortune-Lloyd
Benny Watts Thomas Brodie-Sangster
Vasily Borgov Marcin Dorociński
Allston Wheatley Patrick Kennedy

critica IMDB 8.9 /10 | Rotten Tomatoes 8.1 /10 | Metacritic 79 /100

camera Red Ranger Monstro, Zeiss Supreme Prime Lenses
aspect ratio 1.78:1